Nelle sere d’estate, quando da piccolo andavo a dormire senza bacio
della buonanotte (chissà cosa avevo combinato), con in braccio il mio
drago di peluche guardavo fuori dalla finestra. Volevo volare fuori, mi
sentivo in gabbia. Volevo vedere cosa accadeva in città, per capire se
le cose o le persone si trasformavano in qualcosa di brutto.
Non ho mai provato a evadere, mi sono sempre arreso e rifugiato sotto la coperta leggera.
Ora scrivo, e posso prendermi una rivincita sui rimpianti.
“Il drago non si droga” (forse faccio male a confessarlo?) è il libro
che ho impiegato meno tempo a scrivere e correggere. Eppure è il romanzo
con l’intreccio più solido [è il terzo che pubblichi, bella forza; sì
ma ho 5 inediti nel cassetto, calmati].
“Il drago non si droga” è la
storia che ho sempre voluto vivere. Spero di farla vivere anche a voi,
portandola in giro per le strade.
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